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Per come la vedo io, esiste uno stretto rapporto tra la mia professione e la corsa.

Il mestiere dell’avvocato impone di sopportare una continua tensione che a volte può mandare in tilt anche le persone più pazienti (per inciso non mi annovero tra queste).

Correre mi è indispensabile per “resettare” e trascorrere un tempo infinito senza pensare.

La percezione dell’infinito è affidata al profumo del mare, alla luce del sole albeggiante o che vi si scioglie al tramonto, alla vista dei colori della mia bellissima città.

Mentre corro, sorvolando sui pensieri, svanisce progressivamente qualsiasi senso di oppressione e la mente riacquista la lucidità intorpidita dagli eventi (leggi rotture di balle).

Correre mi ha insegnato che l’unica vera competizione è con se stessi perché la spinta interiore non è alimentata dai risultati ma dal senso di soddisfazione per un lavoro compiuto in solitudine, con disciplina e regolarità.

Come ha scritto Haruki Murakami in What I Talk About When I Talk About Running, la pratica della corsa e della scrittura condividono l’abilità di mantenere costante la motivazione, la forza per vincere i momenti di difficoltà, la capacità di finalizzare i chilometri percorsi, così come le righe scritte, ad un “progetto”.

Il prezzo da pagare per rafforzare il carattere e la determinazione necessari per affrontare non solo una maratona, ma soprattutto la vita di tutti i giorni, è un duro allenamento (lunghi, ripetute, salite) sotto la pioggia, il sole o tra le raffiche di maestrale.

Vi assicuro che ne vale la pena…. per me, l’unica vera sofferenza è non poter correre più come vorrei.

Dedico queste poche righe ai kizzani e a tutti gli amici runner.

 

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