Con ordinanza del 03.05.2023, n. 11574, la Corte di Cassazione, sezione lavoro, ha affermato il seguente principio: “l’attribuzione ai dirigenti medici del Sistema Sanitario Nazionale che abbiano superato, con valutazione positiva del collegio tecnico, il quinquennio di attività, di un incarico di direzione di una struttura semplice o di un incarico di alta professionalità, consulenza, studio, ricerca, ispettivo, di verifica e controllo, secondo la contrattazione collettiva di tempo in tempo vigente, è condizionato dall’esistenza di posti disponibili, secondo l’assetto organizzativo dell’ente quale fissato dall’atto aziendale, nonché della copertura finanziaria, e richiede inoltre il previo superamento delle forme di selezione regolate dalla contrattazione collettiva stessa”.
Secondo la Corte di Cassazione, infatti, l’impianto normativo complessivamente inteso, esclude l’obbligo delle Aziende sanitarie di conferire incarichi diversi da quelli di base ai dirigenti che abbiano maturato un’anzianità superiore ai cinque anni e superato positivamente la verifica del Collegio Tecnico.
In particolare, la Suprema Corte rileva come non sia vero che il dato testuale delle disposizioni vigenti (D.lgs. n. 502 del 1992, art. 3, comma 1-bis, art. 15, comma 1 e 4, art. 15-ter comma 1) induca ad una lettura tale per cui al verificarsi di quelle condizioni il dirigente medico abbia diritto almeno ad un incarico tra quelli previsti nell’art. 27 lett. c) del CCNL 08.06.2000 (attualmente art. 18 CCNL 19.12.2019).
Le locuzioni “anche” / “nonché” utilizzate dal legislatore nella seconda parte dell’art.15, comma 4, del D.lgs. cit.[1], devono essere intese, infatti, nel senso che il conferimento delle funzioni più qualificate costituisca una mera possibilità e non, invece, un obbligo per le Aziende e gli Enti del Servizio Sanitario Nazionale.
Per i Giudici di legittimità, quindi, al dirigente con più di cinque anni di anzianità ben potrebbero essere attribuite funzioni professionali non diversamente qualificate e, quindi, per utilizzare la più recente terminologia contrattuale “di base” (art. 18 del CCNL 19.12.2019).
L’assunto non è in alcun modo condivisibile.
Contrariamente a quanto osservato dalla Corte di Cassazione, dall’art. 15, comma 4, D.lgs. cit. è possibile evincere l’esatto contrario, ossia che al dirigente con un’anzianità superiore ai cinque anni, valutato positivamente dal Collegio Tecnico, devono essere attribuite funzioni qualificate.
È proprio la suddetta norma – inspiegabilmente anatomizzata dai giudici di legittimità – che segna la differenza tra i compiti professionali che devono essere assegnati al dirigente all’atto della prima assunzione e sino al momento della verifica positiva del Collegio Tecnico al termine dei cinque anni di anzianità e le funzioni che devono essere attribuite agli altri dirigenti.
L’ “anche” non può dunque leggersi, coma fa la Corte, nel significato di “anche nessuna” tra quelle qualificate, ma piuttosto nel senso che al dirigente la cui anzianità sia stata positivamente verificata devono essere attribuite funzioni professionali, non necessariamente di alta specializzazione, ma almeno “di consulenza, studio e ricerca, ispettive, di verifica e di controllo”. Funzioni certamente diverse da quelle che devono essere affidate al dirigente le cui competenze tecnico professionali e gestionali sono ancora in fase di perfezionamento.
La locuzione “nonché”, che precede il verbo “possono”, mette in evidenza la differenza tra ciò che si deve almeno conferire (incarichi di natura professionale, anche di alta specializzazione, di consulenza, studio e ricerca, ispettive, di verifica e di controllo) e ciò che si può attribuire (incarichi di struttura semplice).
Quali siano le funzioni qualificate e come debbano essere retribuite lo dice anche il contratto collettivo a cui l’art. 15-ter, comma 1, del D.lgs. cit.[2] rimanda per determinare le modalità di conferimento degli incarichi.
Non è quindi casuale che l’art. 27 del CCNL 08.06.2000, sostanzialmente ripetitivo del contenuto dell’art. 15, comma 4 del D.lgs. 502/1992, distingua tra gli incarichi di natura professionale anche di alta specializzazione, di consulenza, di studio, e ricerca, ispettivi, di verifica e di controllo (lett. c) e gli incarichi professionali conferibili ai dirigenti con meno di cinque anni di attività (lett. d) che non possono evidentemente essere attribuiti ai primi.
E con la stessa coerenza, l’art. 18, comma 2, del CCNL 19.12.2019, distingue tra gli incarichi professionali quelli qualificati del comma 1 lett. a), b), c) da quelli di base del comma 1 lett. d), che per l’appunto possono essere conferiti soltanto ai dirigenti “con meno di cinque anni di effettiva anzianità”, come si ricava chiaramente dall’inciso successivo “invece” che li distingue dalla tipologia di funzioni che devono essere conferite “Ai dirigenti con almeno cinque anni di anzianità̀”.
Se si segue il ragionamento della Corte, una volta escluso che al dirigente con anzianità superiore ai cinque anni, le cui attitudini e capacità siano state verificate positivamente, possano essere attribuiti i compiti indicati nella prima parte dell’art. 15, comma 4 (la norma è chiarissima sul punto), non è dato comprendere in quale tipologia di incarico dovrebbero includersi le funzioni “diversamente” qualificate, non potendo certamente essere quelle di base destinate ai dirigenti le cui competenze siano ancora da “completare” e valutare al raggiungimento dell’esperienza professionale prescritta dalla norma.
Per quanto il rilievo che precede sia assorbente, la Corte di Cassazione ricava la non obbligatorietà dell’attribuzione della tipologia di incarichi diversi da quelli non qualificati (o di base secondo la nuova terminologia contrattuale) da ulteriori argomenti e, innanzitutto, dall’art. 15-ter, comma 1 del D.lgs. cit. secondo cui gli incarichi dirigenziali sono attribuiti “compatibilmente con le risorse finanziarie a tal fine disponibili e nei limiti del numero degli incarichi e delle strutture attribuiti nell’atto aziendale di cui all’art. 3, comma 1-bis.”
Anche in questo caso l’interpretazione della Corte non è convincente.
L’art. 3 comma 1-bis del D.lgs. cit., ultima parte, stabilisce infatti che “L’atto aziendale individua le strutture operative dotate di autonomia gestionale o tecnico-professionale, soggette a rendicontazione analitica”.
L’atto aziendale non individua, quindi, gli incarichi professionali (che non si identificano con le strutture operative di cui sono mere articolazioni interne), il che spiega perché le Aziende sanitarie, da sempre, vi inseriscano soltanto le strutture e non invece gli incarichi professionali.
L’inciso “nei limiti del numero degli incarichi e delle strutture attribuiti nell’atto aziendale” deve dunque essere correttamente inteso nel senso che l’atto aziendale, in cui devono essere individuate le unità operative (complesse o semplici), fissa evidentemente anche il numero degli incarichi di direzione delle suddette strutture.
La circostanza poi che gli incarichi (in questo caso sia quelli professionali che gestionali) siano attribuiti compatibilmente con le risorse finanziare a tal fine disponibili è cosa ovvia visto che esiste un apposito fondo aziendale per la retribuzione degli incarichi (da ultimo, art. 94 CCNL 19.12.2019), per cui il relativo trattamento economico dovrà tener conto della sua consistenza (per ogni tipologia di incarico è previsto infatti un valore minimo e massimo della complessiva retribuzione di posizione). Al riguardo, si dovrà considerare che le risorse del fondo sono rese disponibili, tra l’altro, proprio per corrispondere “ad ogni dirigente” (e non certo solo ad alcuni) la retribuzione di posizione parte fissa e variabile “correlata a ciascuna tipologia di incarico” secondo la disciplina dell’art. 91 (compresa la maggiorazione della clausola di garanzia di cui all’art. 92, comma 4).
I giudici di legittimità hanno ravvisato un ulteriore decisivo argomento in favore della non obbligatorietà nelle disposizioni contrattuali che regolano le modalità di conferimento degli incarichi.
In particolare, hanno osservato che il CCNL stabilisce (art. 28 CCNL 08.06.2000; attualmente art. 19 CCL 19.12.2019) che si proceda con atto scritto e motivato sulla base di una rosa di idonei e previa fissazione aziendale dei criteri e delle procedure per l’affidamento, “il che è palesemente in contrasto con l’attribuzione a tutti, al quinquennio, sempre e comunque, di uno di quegli incarichi”.
Il rilevato contrasto è, in realtà, del tutto incomprensibile.
Non si vede, infatti, quale fondato argomento possa impedire alle Aziende sanitarie di definire per ogni struttura operativa un numero di incarichi professionali esattamente corrispondente alla dotazione organica dei medici in servizio, con l’effetto che la scelta della tipologia di incarico da attribuire ad ogni dirigente potrà essere effettuata tenendo conto dei requisiti indicati nelle disposizioni normative e contrattuali. Né la previsione di un avviso di selezione interna (altra circostanza ritenuta decisiva dalla Corte) appare in alcun modo ostativa, considerato che ad ogni dirigente, che deciderà di partecipare alle selezioni per il conferimento degli incarichi professionali afferenti alla struttura di appartenenza, dovrà essere attribuito quello che il Direttore di Dipartimento o di Distretto (CCNL 19.12.2019, art. 19, comma 9) riterrà maggiormente confacente in sede di valutazione comparata dei curriculum formativi e professionali.
È del tutto evidente, infatti, che se ogni dirigente valutato positivamente al termine dei cinque anni di servizio ha diritto almeno ad un incarico professionale “qualificato” nei termini sopra riferiti, ciò significa che le Aziende devono istituire, sia pure nei limiti delle risorse disponibili (di cui si dovrà tener conto in sede di graduazione degli incarichi), un numero di posizioni dirigenziali che garantisca l’effettivo esercizio delle funzioni professionali e lo sviluppo della carriera di ogni dirigente.
Escludere l’obbligatorietà del conferimento degli incarichi, significa sostanzialmente disconoscere che la carriera professionale dei dirigenti si sviluppa proprio attraverso l’attribuzione di funzioni qualificate, con la finalità di valorizzare le potenzialità, le attitudini e le competenze di ciascuno di essi.
Se il riconoscimento del merito fosse condizionato alla disponibilità finanziaria e organizzativa e gli incarichi “qualificati” fossero soltanto potenzialmente conferibili, gli effetti del sistema sarebbero addirittura perversi.
A titolo meramente esemplificativo, si consideri l’ipotesi del dirigente già titolare di un incarico gestionale (struttura complessa o semplice) o professionale, valutato positivamente dal Collegio Tecnico.
Secondo la contrattazione collettiva (CCNL 19.12.2019, art. 59), l’esito positivo della valutazione “realizza la condizione per la conferma dell’incarico già assegnato o per il conferimento di altro incarico della medesima tipologia di pari o maggior rilievo gestionale, economico e professionale”, nel rispetto delle disposizioni contrattuali che disciplinano le procedure di conferimento.
Coerentemente alla previsione normativa, le parti sociali hanno dunque stabilito che il dirigente ha diritto alla conferma dell’incarico, a meno che non gli venisse attribuito, in esito alle procedure selettive cui decidesse di partecipare, “altro incarico della medesima tipologia di pari o maggior rilievo gestionale, economico e professionale”.
Applicando, invece, il ragionamento della Corte, al dirigente già titolare di un incarico gestionale o professionale, valutato positivamente dal Collegio Tecnico, ben potrebbe essere assegnato un incarico di base proprio perché non vi sarebbe un obbligo di conferimento e quindi, evidentemente, nemmeno di conservazione, attraverso la conferma, dell’incarico già attribuito. Il tutto con buona pace del principio di valorizzazione del merito che verrebbe sostanzialmente azzerato in nome di una pretesa inderogabilità della “rigorosa disciplina finanziaria ed organizzativa” che consentirebbe addirittura una retrocessione nella condizione originaria del dirigente “in formazione”.
Oppure si pensi all’ipotesi contemplata nell’art. 9, comma 32, del D.L. 31 maggio 2020 n. 78 (conv. in L. 30 luglio 2010 n. 122), secondo cui “le pubbliche amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001 (e tra queste le Aziende sanitarie) che, alla scadenza di un incarico di livello dirigenziale, anche in dipendenza dei processi di riorganizzazione, non intendono, anche in assenza di una valutazione negativa, confermare l’incarico conferito al dirigente, conferiscono al medesimo dirigente un altro incarico, anche di valore economico inferiore. Non si applicano le eventuali disposizioni normative e contrattuali più favorevoli; a decorrere dalla medesima data è abrogato l’art. 19, comma 1 ter, secondo periodo, del decreto legislativo n. 165 del 2001. Resta fermo che, nelle ipotesi di cui al presente comma, al dirigente viene conferito un incarico di livello generale o di livello non generale, a seconda, rispettivamente, che il dirigente appartenga alla prima o alla seconda fascia”.
Anche in questo caso, a ben vedere, la norma non lascia alcuno spazio all’ipotesi della mera conferibilità, ma al contrario garantisce il rispetto incondizionato del diritto del dirigente ad un incarico che, per quanto possa essere di inferiore valore economico, deve comunque promuoverne lo sviluppo professionale.
Utilizzando gli argomenti proposti dalla Corte di Cassazione, invece, in ragione delle scelte organizzative aziendali, il dirigente ben potrebbe rimanere privo di un incarico qualificato proprio perché l’impianto normativo non riconosce un diritto incondizionato all’incarico.
In conclusione, l’autorevole lettura della Corte non considera che il principio di buon andamento della pubblica amministrazione (art. 97) deve armonizzarsi con i principi di autonomia, di responsabilità e di valorizzazione del merito e della prestazione professionale (artt. 35 e 36 Cost.), anch’essi di caratura costituzionale (artt. 35 e 36 Cost.), che governano il sistema degli incarichi da quando la dirigenza sanitaria è stata collocata in unico ruolo.
Armonizzazione che appare indispensabile affinché il sistema degli incarichi possa essere funzionale ad un’efficace organizzazione aziendale e allo stesso tempo garantire lo sviluppo della carriera professionale dei dirigenti, mediante il riconoscimento delle potenzialità, delle attitudini e delle competenze di ciascuno di essi.
@giacomodoglio
[1] “All’atto della prima assunzione, al dirigente sanitario sono affidati compiti professionali con precisi ambiti di autonomia da esercitare nel rispetto degli indirizzi del dirigente responsabile della struttura e sono attribuite funzioni di collaborazione e corresponsabilità nella gestione delle attività. A tali fini il dirigente responsabile della struttura predispone e assegna al dirigente un programma di attività finalizzato al raggiungimento degli obiettivi prefissati ed al perfezionamento delle competenze tecnico professionali e gestionali riferite alla struttura di appartenenza. In relazione alla natura e alle caratteristiche dei programmi da realizzare, alle attitudini e capacità professionali del singolo dirigente, accertate con le procedure valutative di verifica di cui al comma 5, al dirigente, con cinque anni di attività con valutazione positiva sono attribuite funzioni di natura professionale anche di alta specializzazione, di consulenza, studio e ricerca, ispettive, di verifica e di controllo, nonché possono essere attribuiti incarichi di direzione di strutture semplici”
[2] “Gli incarichi di cui all’articolo 15, comma 4, sono attribuiti, a tempo determinato, dal direttore generale, secondo le modalità definite nella contrattazione collettiva nazionale, compatibilmente con le risorse finanziarie a tal fine disponibili e nei limiti del numero degli incarichi e delle strutture stabiliti nell’atto aziendale di cui all’articolo 3, comma 1-bis, tenendo conto delle valutazioni triennali del collegio tecnico di cui all’articolo 15, comma 5. Gli incarichi hanno durata non inferiore a tre anni e non superiore a sette, con facoltà di rinnovo. Ai predetti incarichi si applica l’articolo 19, comma 1, del decreto legislativo n.29 del 1993 e successive modificazioni. Sono definiti contrattualmente, nel rispetto dei parametri indicati dal contratto collettivo nazionale per ciascun incarico, l’oggetto, gli obiettivi da conseguire, la durata dell’incarico, salvo i casi di revoca, nonché il corrispondente trattamento economico”.